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“ONE NIGHT IN FLORENCE” | QIAN WU

Attraverso il titolo che introduce la mostra, il giovane pittore Qian Wu, per la prima volta ospite in Firenze,  propone un’immersione nella rilettura dei versi del grande poeta cinese Xu Zhimo, che nel giugno del 1925, dalle pendici dei monti Appennini affacciati sulla valle di Firenze, scriveva di getto la lirica omonima, dando voce a una giovane donna il cui amante l’avrebbe lasciata prima dell'alba:  “Hai svegliato il mio sonno e mi hai restituito l'innocenza / Come potrei sapere che il cielo è alto e l'erba è verde senza di te?”


E’ difficile riuscire a cogliere le sottigliezze linguistiche nella traduzione dal cinese ad altra lingua che, per quanto fedele ed alla lettera, non riuscirebbe a rendere le sfumature e le gradazioni dell’idioma cinese, che trasferisce l’ideogramma in una metafora visiva. Forse è con questo spirito che Qian Wu sceglie One night in Florence, vero è proprio sussurro sui tre momenti salienti della passione: la paura del domani, la condivisione della morte evocata ed infine la separazione finale. Sfugge ad un occidentale il significato recondito dell’amante che attende che “l’albero di ferro fiorisca”, a significare che ciò non avverrà mai. Il migliore approccio è quello di una lettura visiva delle singole parole, alla ricerca del loro potere evocativo. Analogamente accostarsi alla pittura dell’artista Qian Wu può assumere il valore di un’esperienza letteraria: una poesia visiva che si apre a quegli occhi che sanno ritrovare l’innocenza, parafrasando la lirica di Xu Zhimo.

 

La mostra suggerisce un viaggio immersivo e puramente astratto, in richiami di apertura, energia, vitalità. Utilizzando un mix di olio e resine acriliche verdi e bianche su tela, stesure piatte ed effetti vibranti del frottage il giovane artista cinese sceglie grandi/medi formati, nel rigore di una palette seriale, che rispetto alle opere precedenti – in dominante nera, poi in blu elettrico -, liberano ora la nuova dominante verde. Dal cielo cosmico alla vibrazione di felci e conifere: non tanto attraverso un verde evocativo di quiete, piuttosto un verde squillante, nel quale si aprono ad incastro travi bianche che fendono lo spazio della tela, costruiscono griglie articolate, come brecce di luce che filtrano fra cime arboree.


Per un artista emergente di origini cinesi e curriculum di studi statunitensi come Qian Wu, classe 1991, la scena su cui affermare le proprie ricerche non può che svilupparsi dal dialogo Oriente-Occidente, beninteso un Oriente e un Occidente quali appaiono originalmente allo sguardo della sua generazione. Nella presentazione alla personale tenuta nella scorsa estate presso la 3812Gallery di Londra, Wu scriveva: “My three aesthetic pursuits are: first, Easternism; second, poetic aesthetics; and third, the spirit of literati painting”, rivendicando dunque l’eredità orientale, nel debito riconoscente verso la tradizionale pittura a pennello cinese detta “pittura dei letterati”. 


Nondimeno il lascito dell’astrattismo nord-americano costituisce per Wu un fertile motivo di confronto, nel seguito di quegli artisti che utilizzano le griglie della geometria in composizioni serrate, capaci di stabilire una sorta di campo magnetico. 

Vengono inoltre in mente i grandi maestri dell’informale europeo: fra tutti Hans Hartung e i suoi “Rayonnements”, laddove è il graffito a lasciare emergere le luminose tonalità sottostanti; similmente le decostruzioni del gruppo francese Support/Surface; o Gerhardt Richter – “my hero” –, del quale il giovane cinese ama la capacità di evocare lo spazio lasciando prevalere l’autonomia dei materiali e la loro potenzialità espressiva.


Sviluppando queste tracce molteplici, nelle opere di Wu la superficie pittorica è attraversata da bianche linee di forza che creano uno spazio dilatato, utilizzando textures lavorate con variazioni appena percettibili di spessore. L’attrazione per la grande dimensione si esprime in composizioni nelle quali è contraddetto l’ordine gerarchico tradizionale, per cui esiste un centro, una base, una sommità. Ogni angolo della tela è importante quanto ciò che risiede al centro, tanto che l’occhio dello spettatore è spinto a percorrere l’opera senza focalizzare l’attenzione su alcuna delle sue parti. Il dipinto risulta un vero e proprio ambiente nel quale immergersi.


In una lunga intervista condotta dallo scrittore Mark Bloch e pubblicata sulla rivista newyorkese “WhiteHot Magazine of Contemporary Art” nel luglio del 2019, Wu afferma: "I don't care about anything else – motion, power, energy.” Nell’intervista si discorre sulle radici dell’astrazione e sugli sviluppi espressi nelle arti orientali, laddove tutto è astratto, così come lo è la calligrafia. In tal senso il percorso di ricerca di Qian Wu si inserisce nella traccia dell’astrattismo contemporaneo e della sua evoluzione attraverso suggestioni cinetiche e luminose, ricercate percezioni sensoriali. Eppure questa ricerca, del tutto contemporanea e di carattere marcatamente internazionale, ci appare a suo modo discendente diretta degli antichi Sei principi della pittura cinese, stabiliti da Xie He nel lontano V secolo, laddove si definivano gli elementi che qualificano un dipinto:  la “risonanza dello spirito”, in riferimento al flusso di energia che emana l'opera; la qualità della tessitura; la "corrispondenza con la forma prescelta", nel merito di linee e sagome, così come nel merito del colore, nei suoi valori e toni.


Ecco dunque che il presente storico spinge il giovane a interrogarsi sul significato di essere un artista cinese di età contemporanea, elemento integrato di un sistema globale, e insieme espressione dei valori dell’antica civiltà di origine.


E torna in mente il monologo di One night in Florence, laddove con grazia letteraria e fervida immaginazione, il poeta si emoziona ripensando con gli occhi della mente a luoghi dove vibra “Il suono del vento che fruscia nel pioppo bianco in alto” e “la brezza rinfrescante dell'oliveto porta la fragranza dei fiori di melograno”.


Claudio Rocca

 

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